Smart working, servono regole nuove per non rimanere schiacciati dal superlavoro
Quanta voglia di “smart working” avevamo prima del lockdown? Quanto ci incuriosiva questa possibilità di lavorare da casa con (all’apparenza) più tempo libero? E oggi com’è la situazione?
Quello che la maggior parte di noi, diciamolo, sta sperimentando dall’inizio della pandemia ad oggi non è un vero e proprio smart working, ma una sorta di telelavoro privo di regole e confini, in questo periodo gli studi e le ricerche sul tema ‘lavoro da casa’ unito al confronto avuto con amici, colleghi, clienti e fornitori che si occupano di risorse umane ha evidenziato pareri anche molto distanti.
A distanza di quasi un anno dal primo lockdown, accanto ad esperienze positive in cui i lavoratori hanno trovato una nuova e piacevole dimensione, per altri le difficoltà più nascoste del lavoro a distanza stanno venendo alla luce.
Lo smart working, tuttavia, non sarà una parentesi della nostra carriera lavorativa ma parte del “new normal” post pandemico. Secondo l’Osservatorio Smart working della School of management del Politecnico di Milano, circa 5,3 milioni di lavoratori continueranno a svolgere la loro attività da remoto per un numero significativo di giorni alla settimana.
A questo punto, in cui il lavoro “da pandemia” sta diventando la normalità, gli aspetti negativi rischiano di prendere il sopravvento su quelli positivi. Per evitare di sprecare un’occasione unica per ripensare modi e tempi del lavoro, al di là dell’emergenza, è il momento allora di smettere di considerare lo smart working una misura di emergenza e di iniziare a fare i conti con un cambiamento strutturale dell’organizzazione del lavoro.